L’AZIONE ESECUTIVA CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE: IL TERMINE DILATORIO POSTO DALL’ART. 14, D.l. n. 669/1996)

 

SECONDA PARTE

(segue) SOMMARIO: 6. Condizione di efficacia del titolo esecutivo, di validità del precetto, di procedibilità dell’azione esecutiva. 7. L’intervento nell’esecuzione. 8. Violazione del termine e opposizione all’esecuzione. 9. L’applicabilità al giudizio di ottemperanza amministrativo. 10. Il precetto. 11. La competenza nell’espropriazione forzata dei crediti. 12. Inefficacia del pignoramento e dell’ordinanza di assegnazione somma. 13. Lo speciale ordine di pagamento (c.d. SOP).

  1. Condizione di efficacia del titolo esecutivo, di validità del precetto, di procedibilità dell’azione esecutiva.

Durante la pendenza del termine dei centoventi giorni, la condanna della P.A. al pagamento è sospesa esecutiva ed il creditore non può agire in executivis, né preannunciare di averne l’intenzione col precetto.

L’art. 14 ha introdotto nell’ordinamento processuale un minisistema applicabile alle sole esecuzioni contro le P.A., che si pone come legge speciale e posteriore rispetto al codice di rito (Cass., 26 novembre 2010, n. 24078).

Pendendo il termine, che decorre dalla (rinnovata) notificazione del titolo esecutivo, il creditore non può notificare l’atto di precetto, né tantomeno chiedere il pignoramento.

L’obbligo della seconda notificazione del titolo esecutivo è condizione di procedibilità dell’azione esecutiva, anche quando il titolo giudiziale sia già stato notificato al debitore per farlo diventare esecutivo, in difetto di opposizione (ndr. è il caso del decreto ingiuntivo esecutivo ex art. 647 c.p.c.).

Secondo la Corte cost., ord., 30 dicembre 1998, n. 463, la doppia notificazione non deroga al detto principio di unicità della notificazione del titolo, non potendosi ricavare la deroga, né dall’interpretazione testuale della norma, né dalla ratio legis, che richiede la nuova notifica del titolo per consentire alla P.A. di provvedere al pagamento, previo controllo del titolo e fatto salvo il rispetto delle regole di contabilità pubblica (v. anche Cass. civ., sez. III, ord., 26 novembre 2010, n. 24078).

In termini la giurisprudenza di merito che conferma la necessaria ri-notificazione del titolo nel caso di decreto ingiuntivo diventato esecutivo dopo la  sua notificazione (Trib. Napoli, 18 aprile 2002, in Giur. mer., 2003, 475; Trib. Catanzaro, 1 agosto 2011, in Gius, 2002, 1078; Pret. Firenze, 26 luglio 1999 e Pret. Roma, 20 luglio 1999, in Foro It., 1999, I, 3474; T.A.R. Lazio-Latina, 18 ottobre 2004, n. 995, in Foro amm., 2004, 3039; RAIOLA, Termine di grazia per i pagamenti delle amministrazioni, cit., 406-407, note 15-16).

Al divieto di procedere ad esecuzione forzata si aggiunge quello della notificazione dell’atto di precetto (previsione introdotta dall’art. 44, co. 3, D.L. 30 settembre 2003, n. 269, conv. in L., n. 326/2003).

Processualmente, il decorso dei centoventi giorni costituisce un presupposto di efficacia del titolo esecutivo (ex lege sospesa in pendenza del termine), un requisito di validità del precetto ed una condizione di procedibilità dell’azione esecutiva (Cass.civ., sez. III, 24 febbraio 2011, n. 4498; cfr. in dottrina, ARIETA-DE SANTIS, L’espropriazione forzata nei confronti della p.a., in Montesano-Arieta, Trattato di diritto processuale civile, L’esecuzione forzata, vol. III, tomo 2°, Padova, 2007, 1318).

L’inscindibile dipendenza del precetto dall’efficacia esecutiva del titolo, comporta concretamente l’inutilità della notificazione (Cass. civ., sez. III, 21 marzo 2011, n. 6346), nonché la nullità del precetto notificato durante il termine: l’eccezione può essere sollevata dal debitore con l’opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615, co. 1, c.p.c. (Cass. civ., sez. III, 20 maggio 2014, n. 11085; Id., sez. III, 30 novembre 2011, n. 25567, in Foro It., 2012, I, 2136; Id., sez. III, 24 febbraio 2011, n. 4498; Id., sez. III, 21 marzo 2011, n. 6346) ovvero rilevata d’ufficio del giudice (T.A.R. Lazio-Roma, 24 gennaio 2008, n. 531, in Informaz. prev., 2009, 266; T.A.R. Campania-Napoli, 26 aprile 2011, n. 2288).

Il divieto di esercitare l’azione esecutiva nei confronti della P.A. prima del decorso del termine dilatorio, si applica esclusivamente alla P.A. debitrice esecutata e non alla P.A. che rivesta la posizione di terza pignorata nell’espropriazione mobiliare presso terzi ex art. 543 c.p.c., nella veste di debitor debitoris (Cass. civ., sez. III, 30 novembre 2011, n. 25567, in Foro It., 2012, I, 2136; MAJORANO, Brevi note sulla Banca d’Italia terza pignorata).

  1. L’intervento nell’esecuzione.

L’art. 14, co. 1 si applica all’intervento nel processo esecutivo: «in tema di esecuzione forzata in danno di amministrazioni pubbliche e di enti pubblici non economici, il termine (…) si applica anche all’ipotesi di intervento del creditore, in quanto l’intervento è una delle possibili forme di esercizio dell’azione esecutiva» (Cass. civ., sez. III, 18 aprile 2012, n. 6067).

Conclusione obbligata dopo l’equiparazione del creditore intervenuto munito di titolo esecutivo  al creditore procedente (Cass., civ., Sez. Un., 7 gennaio 2014, n. 61): l’intervento altro non è, infatti, che esercizio dell’azione esecutiva analogamente a quella del creditore principale (v. sul punto, al diverso fine di estendere l’applicabilità agli atti di intervento delle speciali regole di competenza territoriale sancite per l’espropriazione dei crediti degli enti previdenziali, Corte cost., 27 ottobre 2006, n. 343).

La peculiarità dell’intervento nella procedura esecutiva, che non richiede l’intimazione del precetto, fa sì che il termine dilatorio dei centoventi giorni vada calcolato, a pena di inammissibilità dell’intervento, dalla data della notificazione del titolo esecutivo alla data del deposito dell’intervento (DONVITO, Codice delle esecuzioni contro la P.A., cit., 117; ROSSI, L’esecuzione forzata contro la pubblica amministrazione, cit., 47).

Parte della dottrina è tuttavia contraria all’applicazione dell’art. 14 all’intervento per l’impossibilità di rispettare il termine dilatorio da parte dei creditori privi del titolo esecutivo, che comunque potrebbero intervenire nell’esecuzione ex art. 499, co. 3 c.p.c. (v. ARIETA-DE SANTIS, L’espropriazione forzata nei confronti della p.a., cit., 1330, nonché COSTANTINO, La tutela dei crediti verso le pubbliche amministrazioni, in Riv. dir. proc., 2014, 314; quanto alla competenza per territorio del pignoramento dei crediti e l’intervento, v. infra, par.12).

La questione riguarderebbe peraltro i soli creditori risultanti dalle scritture contabili ex art. 2214 c.c., non i sequestratari ovvero i titolari di pegno o altro diritto di prelazione, per la particolare relazione che questi ultimi hanno con i beni pignorati, che giustifica la deroga all’art. 14.

  1. Violazione del termine ed opposizione all’esecuzione.

L’introduzione del termine dilatorio da rispettare da parte del creditore prima della notificazione del precetto e dell’avvio dell’azione esecutiva contro la P.A., quale condizione di efficacia del titolo esecutivo e di procedibilità della fase esecutiva, fa sì che la sua violazione sia motivo di opposizione al precetto e  all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. (ex multis, v. Cass. Civ., sez. lav., 17 febbraio 2015, n. 3133; Cass. civ., sez. III, 30 novembre 2011, n. 25567; Id., sez. III, 21 marzo 2011, n. 6346; Id., sez. III, 24 febbraio 2011, n. 4498; Cass. civ., sez. lav., ord., 23 febbraio 2010, n. 4357; Cass. civ., sez. III, 26 marzo 2009, n. 7360; Id., sez. lav., 17 settembre 2008, n. 23732, in Foro It., 2009, I, 2763; Id., sez. III, 11 luglio 2007, n. 15469; Id., sez. III, 28 febbraio 2006, n. 4507; Cass. civ., sez. III, 16 novembre 2005, n. 23084; Id., sez. III, 14 ottobre 2005, n. 19966, in Riv. esec. forz., 2006, 402 e in Giur. It., 2006, 1229, n. SALVIONI; nel merito, Trib. Milano, 7 gennaio 2011, in www.ilcaso.it, 2011; Trib. Cassino, 29 maggio 2008, cit. in R. ROSSI, L’espropriazione presso terzi di crediti, 350, nota 152; Trib. Palermo, 14 marzo 2007, inedita; Trib. Vicenza, 18 agosto 1999, in Foro It., Rep., 2004, voce Contabilità dello Stato, n. 42; Pret. Perugia, 17 febbraio 1999, id., Rep. 2001, voce cit., n. 38; in dottrina, v. ARIETA-DE SANTIS, L’espropriazione forzata nei confronti della p.a., cit., 1329; SOLDI, Manuale dell’esecuzione, cit., 193).

Per la giurisprudenza l’art. 14 «pone infatti un intervallo tra la notificazione del titolo esecutivo e quella del precetto, prima del quale l’esecuzione forzata non può essere intrapresa: pertanto, il decorso del termine legale diviene condizione di efficacia del titolo che con esso si fa valere, rende nullo il precetto intempestivamente intimato, con la conseguenza che la relativa opposizione si traduce in una contestazione del diritto a procedere all’esecuzione forzata e integra un’opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615, co. 1, c.p.c., non concernendo solo le modalità temporali dell’esecuzione forzata» (Cass. civ., sez. III, 24 febbraio 2011, n. 4498).

Superato è il precedente orientamento giurisprudenziale, che collocava la contestazione della violazione dell’art. 14 nell’ambito delle opposizioni agli atti esecutivi ai sensi dell’art. 617 c.p.c., perché ritenuta attinente al quomodo dell’esecuzione forzata e non già all’esistenza del diritto del creditore a procedere in executivis (Cass. civ., sez. lav., 21 dicembre 2001, 16143; nel merito, v. Trib. Bari, 31 maggio 2006 e Trib. Pinerolo, 19 aprile 2005, in Giur. mer., 2005, 1824; in dottrina, VACCARELLA, Postilla, cit., 672).

L’opposizione al precetto ed all’esecuzione ha trovato conferma nell’art. 44, L. n. 326/2003, che, novellando il primo comma della norma, ha espressamente vietato la notificazione del precetto prima del decorso del termine, disposizione ritenuta interpretativa del precedente testo dell’art. 14, co. 1 (Cass. civ., sez. III, 14 ottobre 2005, n. 19966, cit.): l’espresso divieto di notificare il precetto qualifica l’opposizione del debitore pubblico come opposizione ai sensi dell’art. 615 c.p.c., in quanto diretta a contestare il diritto del creditore di procedere ad esecuzione forzata.

Il rimedio dell’opposizione ex art. 617 c.p.c. resta naturalmente utilizzabile avverso l’ordinanza del giudice che abbia d’ufficio rilevato l’improcedibilità dell’azione esecutiva per violazione dell’art. 14.

  1. L’applicabilità al giudizio di ottemperanza amministrativo.

E’ pacifico che il creditore della P.A. possa soddisfare il suo diritto avvalendosi sia del giudizio amministrativo di ottemperanza, che del giudizio civile di esecuzione.

La concorrenza tra le due azioni è un dato acquisito per l’ordinamento processuale, che risale alla decisione del Consiglio di Stato, ad. plen., 9 marzo 1973, n. 1 (in Foro It., 1973, II, 265; successivamente, Id., ad. plen., 24 giugno 1998, n. 4, in Cons. Stato, 1998, I, 757 e in Foro It., 1998, III, 480),che stabilì l’ammissibilità del giudizio di ottemperanza per dare esecuzione al giudicato civile, senza pregiudizio dell’azione esecutiva ordinaria, ben potendo il giudice amministrativo intervenire nel procedimento di spesa, disciplinato dalla contabilità pubblica, con l’adozione degli atti necessari per il pagamento del creditore (v. Cass. civ., Sez. un., 9 marzo 1981, n. 1299, in Giur. It., 1981, I, 1, 862).

Quanto all’applicabilità dell’art. 14, co. 1 al giudizio amministrativo di ottemperanza c’è contrasto in giurisprudenza tra chi ritiene che si applichi, malgrado il riferimento alla sola esecuzione forzata, e chi lo esclude per la natura eccezionale della norma, non applicabile al di là dei casi considerati.

Prevale nettamente il primo orientamento, che fa leva sull’inquadramento del giudizio di ottemperanza nel genus dell’esecuzione forzata contro la P.A., sul presupposto che, sia il giudizio di ottemperanza, che quello di esecuzione forzata, seppur per strade diverse, hanno lo stesso fine e cioè ottenere coattivamente l’adempimento di un’obbligazione pecuniaria contenuta in un titolo esecutivo giudiziale (ex multis, cfr. T.A.R. Abruzzo, Pescara, sez. I, 6 febbraio 2021, n. 43, Id., Campania, Napoli, sez. VII, 3 dicembre 2020, n. 5755; Id., Campania, Napoli, sez. II, 2 settembre  2019 n. 4434; Id.,Napoli, sez. VII, 16 dicembre 2015, n. 5733, Id., Lazio, Roma, sez. I, 29 ottobre 2015, n. 12256, Cons. St., sez. IV, 7 aprile 2015, n. 1772).

Per T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 3 febbraio 2016, n. 1537 (così T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 5 giugno 2015, n. 8356) l’obbligo della preventiva notifica del titolo esecutivo, con il decorso del termine dei 120 gg, si applicano ad ogni credito pecuniario verso la P.A.; per queste obbligazioni, in difetto della preventiva notifica del titolo e pendendo il termine dilatorio, il creditore non può procedere ad esecuzione forzata in nessuna forma: né per espropriazione ordinaria, ai sensi del cpc, né in sede di ottemperanza amministrativa, ai sensi del cpa.

Diversamente, per T.A.R. Lazio, Roma sez. I, 2 febbraio 2015, n. 1844 (conf. Id., Sez. III, 13 gennaio 2016, n. 325) l’art. 14, comma 1, avente ad oggetto la previsione di un termine dilatorio per la proposizione dell’azione esecutiva nei confronti degli enti pubblici non economici, concerne le sole fattispecie di esecuzione forzata disciplinate dal cpc, come si deduce dal testuale riferimento all’”esecuzione forzata” e all’”atto di precetto”.

Tutti concordi, invece, sulla non applicazione dell’art. 14 al giudizio tributario di ottemperanza, la cui unica condizione di proponibilità è il decorso del termine di trenta giorni dalla data della costituzione in mora da parte del creditore a mezzo dell’ufficiale giudiziario, ai sensi dell’art art. 70, co. 2, D. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (Cass. civ., sez. V, 24 settembre 2010, n. 20202, in Foro It., 2011, I, 1152; contra, Comm. Trib. Cosenza, 25 luglio 2007, in Corr. trib., 2007, 3519, n. BRUZZONE, Termine dilatorio di centoventi giorni per la «proponibilità» del ricorso in ottemperanza).

  1. Il precetto.

Quando il debitore è una pubblica amministrazione la notificazione va effettuata direttamente a quest’ultima e non presso l’Avvocatura dello Stato, la cui funzione di rappresentanza e di domiciliazione legale delle pubbliche amministrazioni è circoscritta alla sola attività giudiziaria, come confermato dal R.D. n. 1611/1933, art. 11 in base al quale vanno notificati all’Avvocatura solo gli atti giudiziali e le sentenze.

La circostanza che non sia stata indicata la tipologia delle sentenze  da notificare presso l’Avvocatura dello Stato non autorizza la conclusione che debba essere effettuata presso di essa anche la notificazione della sentenza ai fini esecutivi, dal momento che, per il contesto complessivo in cui si colloca la norma (l’art. 11, R.D. cit.), essa si riferisce alla notificazione della sentenza al fine del decorso del termine d’impugnazione.

La notificazione (errata) del precetto all‘Avvocatura dello Stato non è sanabile ai sensi dell’art. 156 c.p.c., con conseguente inefficacia del precetto ed inidoneità ad interrompere il decorso della prescrizione (Cass. civ., sez. V, 19 dicembre 2003, n. 19512).

Quanto al contenuto dell’atto, ai sensi dell’art. 14, co. 1-bis, gli atti introduttivi del giudizio di cognizione, gli atti di precetto, nonché gli atti di pignoramento e sequestro devono contenere i dati anagrafici dell’interessato (ndr. del creditore), il codice fiscale ed il domicilio: la previsione, priva di sanzione, serve per permettere alla P.A. ed all’ente pubblico di individuare (e controllare) creditore e debito: la mancanza dell’indicazione dei dati richiesti non inibisce l’azione esecutiva, ma potrebbe sospendere o ritardare il pagamento da parte del debitore pubblico (Cass. civ., sez. 14 gennaio 2009, n. 540).

La norma si applica ai pignoramenti mobiliari, di cui agli articoli 513 e seguenti c.p.c., promossi nei confronti di enti ed istituti esercenti forme di previdenza ed assistenza obbligatorie organizzati su base territoriale (art. 14, co. 1-ter).

Quanto alla previsione – a pena di nullità – della notificazione degli atti presso la struttura territoriale dell’ente pubblico, nella cui circoscrizione risiedono i soggetti privati interessati (ndr. i creditori), e segnatamente dell’atto di precetto, che precede l’avvio dell’esecuzione forzata, la regola vale per tutti gli enti pubblici.

La notificazione si effettua presso la «struttura territoriale dell’Ente pubblico»: la nozione prescinde dalla qualificazione giuridica della struttura, che può non essere una sede territoriale, principale o secondaria, dell’ente; essa indica semplicemente una organizzazione di uomini e mezzi, che potrebbe essere, in concreto,  uno sportello al pubblico o un ufficio, indipendentemente dalla legittimazione processuale passiva del preposto allo sportello o all’ufficio, che potrebbe non essere il legale rappresentante (ARIETA-DE SANTIS, L’espropriazione forzata nei confronti della p.a., cit., 1322-1324).

La norma sanziona l’errore nella notificazione con la sua nullità (non con la nullità del precetto).

  1. La competenza nell’espropriazione forzata dei crediti.

Sino al 10 dicembre 2010 l’art. 26 c.p.c. stabiliva per l’espropriazione di crediti presso terzi la competenza del giudice dell’esecuzione del luogo di residenza del terzo debitor debitoris: scelta comprensibile quando il terzo doveva partecipare all’udienza fissata per la dichiarazione del credito (art. 547 c.p.c.).

Eliminato l’obbligo per il terzo di partecipare all’udienza, sostituito dalla dichiarazione resa per posta raccomandata o elettronica certificata, con la novella dell’art. 543, co. 2, n. 4), c.p.c. (ex art. 19, L. n. 162/2014), il legislatore è intervenuto per dare coerenza al sistema, inserendo l’art. 26-bis, c.p.c., che, al secondo comma, fissa la regola secondo cui la competenza spetta al giudice del luogo in cui il debitore abbia la residenza, la dimora, la sede (comma introdotto dall’art. 19, d.l. n. 132/2014, in vigore dal 11 dicembre 2014).

La precedente regola della competenza territoriale si applica tuttora solo quando debitore sia una pubblica amministrazione; in questo caso la competenza resta quella del giudice dell’esecuzione del luogo dove il terzo debitore abbia la residenza, il domicilio, la dimora o la sede, se persona giuridica (art. 26-bis, co. 1 c.p.c.): così facendo il legislatore ha voluto evitare che i tribunali delle grandi città, ove si concentrano le sedi delle pubbliche amministrazioni, fossero gravati da un eccessivo carico di procedimenti di espropriazione presso terzi (D’ALESSANDRO, L’espropriazione presso terzi, in Foro. It., 2015, 90).

L’art. 26-bis, co. 1 c.p.c.si applica tuttavia in via residuale, “salvo quanto disposto dalle leggi speciali”: ne segue che la norma sulla competenza contenuta nell’art.14, co. 1-bis, d.l. 669/96, resta in vigore quale norma speciale: con riferimento agli enti ed istituti esercenti forme di previdenza ed assistenza obbligatorie organizzati su base territoriale,  essa stabilisce che il pignoramento dei (loro) crediti deve essere instaurato, a pena di improcedibilità rilevabile d’ufficio, esclusivamente innanzi al giudice dell’esecuzione della sede principale del tribunale nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio giudiziario che ha emesso il provvedimento in forza del quale la procedura esecutiva è promossa.

La previsione si applica agli enti previdenziali che siano debitori (non invece agli enti previdenziali che rivestano la qualifica di terzo, come ha chiarito Cass. civ., sez. lav., 11 febbraio 2009, n. 3382), non agli altri enti pubblici ed alle amministrazioni dello Stato: la norma, radicando la competenza nel luogo di formazione del titolo esecutivo, dovrebbe consentire all’ente debitore, nel caso di pignoramenti di crediti, la razionale gestione delle proprie risorse.

La norma fa riferimento generico all’«instaurazione» del pignoramento dei crediti, così ricomprendendo oltre all’atto introduttivo della procedura e cioè all’atto di pignoramento previsto dall’art. 543 c.p.c., gli altri atti esecutivi del creditore.

Da questa premessa la Corte Costituzionale ha stabilito che detta regola vale anche  per il creditore interveniente: il  creditore dovrà agire esecutivamente, a pena d’improcedibilità, innanzi al giudice dell’esecuzione della sede principale del tribunale nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio giudiziario che ha emesso il provvedimento di condanna al pagamento in forza del quale agisce (Corte cost., 27 ottobre 2006, n. 343, n. DE PASCALIS, L’intervento dei creditori nelle procedure di espropriazione di crediti di istituti esercenti forme di previdenza ed assistenza obbligatoria organizzati su base territoriale, in Corr. giur., 2007, 1519; in termini la giurisprudenza, v. Cass. civ., sez. lav., 30 dicembre 2009, n. 27822).

Infine, in difetto di espresso richiamo, la regola la competenza territoriale non si applica ai provvedimenti esecutivi di condanna emessi dal giudice d’appello, per i quali vale l’art. 26-bis, co. 1 c.p.c., con la competenza del giudice dell’esecuzione del luogo di residenza del terzo pignorato.

  1. Inefficacia del pignoramento e dell’ordinanza di assegnazione somma.

Secondo il comma 1-bis, ultima parte, dell’art. 14, il pignoramento dei crediti e l’ordinanza di assegnazione perdono efficacia decorso un anno, rispettivamente dal compimento o dall’emissione, in difetto di assegnazione o di esazione delle somme assegnate.

La disposizione non è retroattiva e si applica dalla data della sua entrata in vigore ossia il 25 novembre 2003 (Cass. civ., sez. Vi, 18 maggio 2020, n. 9063).

Lo scoperto intento della norma è di spingere il creditore a non attardarsi, a non perdere tempo, evitando che fondi pubblici restino vincolati ed inutilizzati sine die nelle tesorerie delle amministrazioni.

Il dies a quo dell’anno per l’assegnazione, decorre dalla notificazione dell’atto di pignoramento; da segnalare l’orientamento del Tribunale di Napoli secondo cui il termine annuale decorrerebbe dal compimento del pignoramento, che non coinciderebbe tuttavia né con la data di notificazione del pignoramento al terzo e/o al debitore, né con l’invio al creditore della raccomandata contenente la dichiarazione del terzo, bensì con l’udienza di assegnazione ex art. 553, co. 1 c.p.c. ovvero, in caso di contestazioni sulla dichiarazione del terzo, con l’ordinanza ex art. 549 c.p.c., che accerta giudizialmente l’obbligo del terzo (Trib. Napoli, 6 aprile 2011, in www.ilcaso.it).

L’inefficacia del pignoramento opera ipso iure con il trascorrere del tempo, a prescindere da un formale provvedimento del giudice dell’esecuzione (ARIETA-DE SANTIS, L’espropriazione forzata nei confronti della p.a., cit., 1332), col conseguente riacquisto da parte dell’amministrazione o dell’ente della disponibilità della somma pignorata od assegnata.

La dichiarazione d’inefficacia del pignoramento (e della conseguente inefficacia – improcedibilità dell’esecuzione) spetta al giudice, chiamato a decidere dall’eccezione sollevata dal debitore o a seguito di rilievo d’ufficio, potere che gli spetta interpretando sistematicamente l’art. 14, che già prevede il rilievo d’ufficio del mancato rispetto del termine dei centoventi giorni, nonché alla stregua del principio posto dall’art. 630, co. 2 c.p.c. in tema di estinzione del pignoramento per inattività delle parti.

L’inefficacia del pignoramento può essere dedotta – anche dal terzo – con l’opposizione agli atti esecutivi da proporre avverso l’ordinanza di assegnazione pronunciata oltre il decorso dell’anno. (Cass. civ. sez. VI, 25 febbraio 2015, n. 3888).

Passato l’anno senza che sia stata emessa l’ordinanza di assegnazione, la perdita di efficacia del primo atto dell’esecuzione determina la cessazione degli obblighi di custodia in capo al terzo che non sarà tenuto a tenere vincolate dette somme oltre tale termine.

Uguale interesse (a non restare vincolato dal pignoramento oltre il termine di legge) vanta il terzo pignorato nel caso di mancata esazione dell’ordinanza di assegnazione entro l’anno dall’emissione del provvedimento. La norma tutela l’interesse del terzo pignorato a non restare vincolato dal pignoramento oltre quel termine.

Con riferimento alla seconda fattispecie d’inefficacia, i termini «esazione delle somme assegnate» (da effettuare entro un anno dalla data dell’ordinanza di assegnazione) indicano l’avvio della procedura di riscossione, che corrisponde alla notificazione dell’ordinanza, che dovrà pertanto essere effettuata (anche se non completata) entro un anno dalla sua emissione.

Qualche incertezza si segnala circa il perimetro di operatività delle due sanzioni d’inefficacia ex lege: ai soli crediti vantati nei confronti degli enti esercenti forme di previdenza ed assistenza obbligatorie, come farebbe intendere il loro collocamento nel comma 1-bis ovvero anche ai crediti verso gli enti pubblici non economici e delle amministrazioni dello Stato (Cass. n. 3888/2015 cit., ha applicato la norma ad un’espropriazione presso terzi effettuata contro un comune, terzo pignorato)?

Questione tuttora aperta: a favore della estensione dell’area di applicazione della norma a tutti gli enti pubblici, milita la sua finalità acceleratoria, mentre il suo carattere eccezionale ne suggerisce un’applicazione restrittiva.

  1. Lo speciale ordine di pagamento (c.d. SOP).

Secondo il secondo comma dell’art. 14, ricevuta la notificazione del titolo esecutivo, il responsabile della spesa delle sole amministrazioni dello Stato, mancando i fondi per provvedere, dispone che il pagamento del debito avvenga con l’emissione di uno speciale ordine di pagamento (c.d. SOP) rivolto all’istituto tesoriere, da regolare in conto sospeso.

Condizioni per l’emissione del SOP sono la condanna della P.A. al pagamento di una somma contenuta in un provvedimento giurisdizionale o lodo arbitrale avente efficacia esecutiva e la mancanza delle somme necessarie sul capitolo di bilancio dell’amministrazione.

Il  SOP è stato disciplinato dal Decreto del Ministero dell’economia e delle finanze 1 ottobre 2012 (in Gazz. Uff. 23 novembre 2002, n. 275, sulle modalità di emissione e le caratteristiche del SOP), dalla Circolare n. 20 del 6 maggio 2014 della Ragioneria generale dello Stato e dalla Circolare 27 agosto 2014, n. 24/RGS del Ministero dell’economia e delle finanze (in Gazz. Uff. 12 settembre 2014, n. 212, sulle modalità di utilizzo del SOP; le due circolari richiamano l’«ACCORDO PER LA GESTIONE DEGLI ATTI DI PIGNORAMENTO IN DANNO DI AMMINISTRAZIONI DELLO STATO NOTIFICATI ALLA BANCA D’ITALIA-TESORERIA DELLO STATO IN VESTE DI TERZO PIGNORATO», intercorso tra la Banca d’Italia, il Ministero dell’economia e delle finanze, il Ministero della giustizia e l’Avvocatura generale dello Stato il 15 aprile 2014, per favorire l’utilizzo degli speciali ordini di pagamento in conto sospeso al fine di prevenire le esecuzioni forzate; l’accordo è reperibile in www.rgs.mef.gov.it/tesoreria/normativa).

In esecuzione dell’art. 2, co. 4-ter, d.l. 13 agosto 2011, n. 138 (conv. con modif. dalla l. 14 settembre 2011, n. 148), che ha stabilito che le operazioni di pagamento delle pubbliche amministrazioni centrali e locali e dei loro enti sono disposte mediante l’utilizzo di strumenti telematici, con l’obbligo per le pubbliche amministrazioni di avviare il processo di superamento di sistemi basati sull’uso di supporti cartacei, il Ministero dell’economia e finanze con decreto 24 giugno 2015 (in G.U., serie gen., n. 172 del 27 luglio 2015) ha introdotto il c.d. SOP informatico, definendone le caratteristiche e le modalità di emissione, a cui ha fatto seguito la Circolare 4 agosto 2015, n. 24 della Ragioneria generale dello Stato.

La ratio della previsione è di assicurare, nel termine dei centoventi giorni l’esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali e dei lodi arbitrali aventi efficacia esecutiva con l’emissione del SOP, quando difetta la disponibilità finanziaria sul pertinente capitolo di spesa del bilancio.

Il SOP si applica alle sole amministrazioni centrali e periferiche dello Stato, nonché ai funzionari delegati dell’Agenzia delle entrate, dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli e dell’Agenzia del demanio; le disposizioni sul SOP informatico sono estese, in quanto compatibili, alle amministrazioni dello Stato dotate di autonomia amministrativa e contabile per le quali vigono appositi regolamenti in materia di amministrazione e contabilità (art. 9, co. 4, d. mef. 24 giugno 2015).

L’adozione della procedura in conto sospeso è raccomandata dalla Ragioneria dello Stato per la tutela degli interessi del creditore, considerato che il termine dei centoventi giorni, previsto dal primo comma dell’art. 14, è posto a favore della pubblica amministrazione debitrice ai sensi dell’art. 1184 c.c.

Il funzionario responsabile del procedimento di spesa, effettuata la necessaria attività istruttoria, dà corso al pagamento col SOP senza bisogno di autorizzazione. Il mancato ricorso a tale procedura, in presenza dei presupposti di legge, configura un’omissione di atti dovuti e determina un danno all’Erario riferibile al dirigente responsabile per i maggiori oneri dovuti per interessi e spese legali, da segnalare alla competente Procura regionale della Corte dei Conti (GUBITOSI, Disciplina di Tesoreria dello Stato, in F. Auletta (op. diretta da), Le espropriazioni presso terzi, Bologna, 2011, 397-398).

Lo speciale ordine di pagamento si scrittura contabilmente al conto sospeso «collettivi»: si tratta dell’unico sospeso del sistema contabile di tesoreria che si articola nei sottoconti “collettivi di cassa” e “collettivi riscontri”, nel secondo dei quali si colloca il SOP sotto la voce «pagamenti urgenti» (MULONE, La Banca d’Italia e la tesoreria dello Stato, in Banca d’Italia-Tematiche istituzionali, ottobre 2006, 105).

I commissari ad acta previsti per il processo amministrativo dall’art. 21, d. lgs. 2 luglio 2010, n. 104 e per il processo tributario dall’art. 70, d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ricorrendone le condizioni, sono legittimati ad ordinare l’emissione del SOP, quando l’amministrazione inadempiente sia quella statale.

Secondo la Circolare n. 24/RGS cit., per legittimare l’emissione del SOP in conto sospeso, occorre che il creditore abbia notificato il provvedimento o il lodo recanti la condanna al pagamento di una somma di denaro, all’Avvocatura dello Stato, previsione che non si giustifica in presenza dell’esecutività del titolo ed all’amministrazione statale debitrice, per la decorrenza dei termini per l’esecuzione spontanea.

La procedura diretta all’emissione del SOP, si articola i due fasi e deve necessariamente concludersi entro sei mesi con l’emissione del provvedimento di spesa.

Quanto alle fasi, la prima riguarda l’attivazione del SOP e si articola – a sua volta – in tre passaggi: 1) emissione del SOP, 2) trasmissione del SOP alle Ragionerie territoriali o agli Uffici Centrali di Bilancio per il controllo preventivo di regolarità amministrativa e contabile, tramite apposizione del c.d. “visto”, 3) invio del SOP, tramite il sistema delle ragionerie, alla tesoreria competente per il pagamento.

La seconda attiene all’esecuzione del POS e si concretizza in tre momenti: 1) la richiesta di fondi da collocare sul capitolo di spesa incapiente rivolta alla Ragioneria generale dello Stato, 2) il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze di variazione del bilancio dello Stato per l’integrazione dei fondi (mancanti) sul pertinente capitolo di bilancio, 3) l’emissione del titolo di spesa per la regolarizzazione del SOP da parte dell’amministrazione che l’ha emesso, con il pagamento del titolo.

Il SOP emesso dal commissario ad acta nominato nel giudizio di ottemperanza tributario per l’esecuzione di una sentenza passata in giudicato del giudice tributario, il procedimento è regolato dalla Circolare 4 febbraio 2003, n. 5/E dell’Agenzia delle entrate.

BIBLIOGRAFIA

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