di Antonio Donvito
La questione di fondo è l’applicabilità del divieto di anatocismo previsto dal nuovo comma 2 dell’art. 120 TUB (come modificato dall’art. 1, comma 629, l. 27 dicembre 2013, n. 147).
La controversia tra banche e clienti riguarda l’immediata applicabilità del divieto (il novellato art. 120 è entrato in vigore il primo gennaio 2014) ovvero la sua efficacia solo dopo l’emanazione della delibera da parte del CICR, delegato dalla norma a stabilire modi e criteri per la produzione degli interessi sugli interessi.
Per l’immediata applicabilità del divieto si è schierato il Tribunale di Milano, in persona della sesta sezione civile, competente per il contenzioso bancario: i giudici ambrosiani hanno stabilito, infatti, che il divieto dell’anatocismo è in vigore dal 1° gennaio 2014, sia per i contratti bancari in corso di esecuzione, che per quelli futuri (v. in www.LETTERALEGALE.info, Le Pillole di Lettera Legale, L’orientamento della sesta sezione civile del Tribunale di Milano sull’anatocismo e sui decreti ingiuntivi delle banche, 26 aprile 2015).
Opposta l’interpretazione del Tribunale di Torino nell’ambito di un procedimento cautelare promosso, ex art. 140, comma 8, Cod. consumo, da un cliente per inibire alla banca ogni forma di capitalizzazione degli interessi passivi maturati sui contratti di conto corrente (v. Trib. Torino, ord. 16 giugno 2015, in www.dirittobancario.it/giurisprudenza/anatocismo).
Precisano i giudici torinesi, tra i vari motivi di rigetto della domanda di inibitoria, che la delibera del CICR del 9 febbraio 2000 (ndr. quella che sotto il precedente testo dell’art. 120 TUB autorizzava l’anatocismo bancario a condizione che fosse reciproco e specificamente pattuito per iscritto) è tuttora in vigore in assenza di esplicita abrogazione ed in attesa del nuovo intervento del comitato, obbligato per la delega conferitagli dall’attuale formulazione dell’art. 120 TUB e per la presenza di questioni tecnico/operative che rendono indispensabile la sua regolamentazione.
La vicenda è tutt’altro che chiusa, perché riguarda l’operatività, la reputazione e le condizioni della concorrenza tra le banche, sia le italiane che quelle degli Stati dell’Unione europea, dove la capitalizzazione degli interessi è pratica comune.
Il problema di fondo è la delibera del CICR, attesa da oltre un anno e mezzo.
Scrive il Direttore generale per la Stabilità, servizi e unione dei mercati della Commissione europea, Jonathan Faull in una lettera all’ambasciatore italiano presso la UE che «l’incertezza del quadro giuridico e l’esistenza di un divieto (ndr. quello dell’anatocismo) suscettibile di rendere più onerose e complicate alcune operazioni bancarie, potrebbero tradursi in ostacoli ingiustificati alla prestazione dei servizi bancari da parte di operatori stranieri che operano in Italia» e domanda di «ricevere chiarimenti sull’introduzione di tale divieto e sulla sua esatta portata, nonché indicazioni sul calendario del CICR e sugli aspetti che tale provvedimento dovrebbe precisare» (Plus24-Il Sole 24 Ore, 27 giugno 2015).
Insomma, la questione degli interessi sugli interessi nei rapporti di conto corrente, penalizzante per i clienti e giustificata dalle banche per il costo della provvista necessaria per mantenere a disposizione dei clienti i fondi, ritorna al Governo che, dopo il frettoloso intervento parlamentare sul secondo comma dell’art. 120 TUB, dovrà definire una volta per tutte la legittimità o meno dell’anatocismo.