È un dato di fatto che gli avvocati siano troppi, forse non in assoluto, ma certamente in rapporto all’economia italiana ed al mercato legale, che da anni si contrae progressivamente.
Nonostante non si sia voluto introdurre il numero programmato nelle scuole di giurisprudenza (così si chiamano le vecchie facoltà), a diminuire le iscrizioni ci ha pensato la crisi economica, tanto che dal 2008 si registra un calo costante nell’ordine di circa l’8% su base annua.
Archiviata l’idea del numero chiuso all’esame da avvocato, dopo la sentenza della Corte di giustizia UE, che ha stabilito l’idoneità dell’esame di ammissione alla professione sostenuto in un altro Stato europeo per l’iscrizione all’albo del paese d’origine (v. Corte giust.UE, 17.7.2014, C-58/13 sui c.d. abogados), nel senso che non possiamo chiudere la porta agli aspiranti avvocati e farli entrare dalla finestra, il CNF ha risolto il problema, collegando l’iscrizione all’albo alla contestuale iscrizione alla cassa di previdenza (art. 8 l.p.), nonché delegando ai COA il controllo della continuità, effettività e prevalenza dell’esercizio della professione (art. 11.1, lett.g, l.p.), pena la cancellazione.
In altre parole, si cancellerà dall’albo l’avvocato che non esercita la professione in modo effettivo, continuativo, abituale e prevalente.
Nulla da dire dal punto di vista della previdenza: dobbiamo pagarci la pensione e non farcela pagare dai colleghi (pare che l’8% degli avvocati versi l’82% dei contributi).
Quanto alla cancellazione dall’albo, ho i miei dubbi. In astratto, chi non ha avuto fortuna nella professione (e, la nostra, è una libera professione), dovrebbe provare a fare altro, ma mi sembra un po’ troppo semplice.
Come la mettiamo con i colleghi che lavorano negli studi per altri avvocati? Anni di devozione e di lavoro per lo studio o il dominus si pagano con la rinuncia ad una propria clientela. Nel mio studio cinque colleghe/i lavorano per me, tra i trenta ed i quarant’anni. Non hanno avuto il tempo e la possibilità di avere una propria clientela, il loro cliente sono io. Lo stesso dicasi per i giovani colleghi che lavorano sia per i grandi studi, che per i piccoli. Se si applicasse la bozza di regolamento predisposta dal Ministero con il CNF, che prevede, tra i vari requisiti, di aver trattato almeno cinque affari l’anno (art. 2, comma 2), rischierebbero la cancellazione.
I cinque “affari” potrebbero sì essere conferiti da un collega, ma proviamo ad immaginare a quali pressioni o conseguenze sarebbero soggetti i colleghi e le colleghe che avessero la sventura di dover chiedere il conferimento di un affare per restare iscritti all’albo? Come diceva Andreotti a pensare male si fa peccato, ma spesso si indovina.
Se il principio del collegamento albo-previdenza, si può condividere, non altrettanto la sua traduzione normativa: è stata scritta da chi non conosce il nostro mondo o forse lo conosce troppo bene. Sperando di essere ancora in tempo, Il nuovo COA dovrà fare il possibile per rimediare in sede regolamentare e presso il CNF.
Accanto a questa iniziativa, il Consiglio dovrà comunque favorire la creazione di condizioni favorevoli all’esercizio della professione.
Come?
Ad esempio, incentivando la cessione della clientela degli studi professionali: ogni anno decine di avvocati maturano il diritto alla pensione, chi lascia lo studio ai figli, chi chiude l’attività dopo averla progressivamente ridotta. Licenziamento quindi del personale di segreteria, cessazione dell’attività dei collaboratori, dispersione della clientela. Un’inaccettabile perdita che priva di una preziosa opportunità i giovani colleghi (ma non solo loro), i quali avrebbero potuto giovarsi dell’”avviamento” del vecchio studio legale. Se la giurisprudenza nega la cedibilità dello studio e dell’avviamento, consente tuttavia la cessione della clientela alla duplice condizione dell’assenza di successiva concorrenza da parte del cedente e del suo impegno a favorire la prosecuzione del mandato con il cessionario, a garanzia del rapporto fiduciario che intercorre con la clientela (Cass., 9 febbraio 2010, n. 2860). Un Consiglio lungimirante dovrà sviluppare la nascita di un mercato degli studi, dando così una chance di crescita ai giovani ed una meritata sopravvenienza attiva agli anziani.
Ad esempio, aiutando, con la consulenza legale e fiscale, l’associazionismo tra i colleghi ovvero favorendo forme diverse di aggregazione, organizzando siti ove poter lavorare beneficiando di servizi comuni, anche insieme ad altri professionisti non avvocati, in modo da favorire la nascita di rapporti di clientela e collaborazione reciproca (c.d. co-working).
Ed ancora, spronando i colleghi a ricoprire le varie figure di ausiliari della giustizia: dai delegati alle vendite, ai arbitri, mediatori e conciliatori, amministratori di sostegno ecc..e ne dimentico molte altre sia nel civile, che nel penale ed amministrativo. Il COA può fare molto, dando la formazione necessaria, tenendo gli elenchi e garantendo criteri di imparzialità e merito nelle nomine.
Il nuovo Consiglio avrà molto da fare, serviranno colleghi volenterosi e competenti, ma soprattutto l’aiuto di tutti i colleghi del foro.
Antonio Donvito
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Elezioni COA Milano 3, 4, 5 marzo 2015
dalle 9 alle 15 sala Gualdoni, Palazzo di Giustizia
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